Schiavismo tra i bovini. Sequestrata azienda zootecnica

Silvio Messinetti il manifesto


Lavoravano 7 giorni su 7, festivi inclusi, con orari massacranti che andavano dalle 4 del mattino fino alle 21. Con pausa pranzo di due ore e occasionali, sporadiche, brevi soste. Non era un allevamento di bovini quanto piuttosto di schiavi. Ne è convinta la procura della Repubblica di Castrovillari, diretta da Alessandro D’Alessio, che all’esito di una meticolosa attività d’indagine ha disposto il sequestro dell’azienda agricola zootecnica il cui titolare risulta indagato con l’accusa di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera.

Il monitoraggio, svolto su un lungo periodo tra agosto ed ottobre 2023, ha permesso di appurare, con elevata affidabilità statistica, come la giornata lavorativa “standard” fosse di 11/12 ore al giorno, senza alcun riposo settimanale. Erano operai zootecnici indiani e italiani che si occupavano della lavorazione delle vacche podoliche, pregiata razza bovina stanziale nel Massiccio del Pollino e nel Marchesato di Crotone.

Nel corso dell’attività investigativa è emerso un dato ancora più allarmante, ovvero che alcuni lavoratori regolarmente assunti vivessero all’interno di un container, di proprietà del titolare dell’azienda di Castrovillari, in scarse condizioni igienico-sanitarie composto da una stanza ad uso camera da letto con tre postazioni, di cui due con materasso posto a terra – privo di rete e struttura – e una fatta con solo coperte.

Un locale privo di agibilità e abitabilità, senza impianti di riscaldamento. Che, anche per la sporcizia diffusa, rendeva le condizioni abitative insalubri, irregolari e prive degli standard minimi di conforto. La paga giornaliera era miserrima: meno di 30 euro, in totale difformità rispetto a quanto stabilito dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Proprio per evitare che la situazione si perpetuasse nel tempo, l’intero comparto aziendale, i beni immobili e mobili, comprensivi di circa 300 bovini e vari veicoli, dal valore stimato di circa 2 milioni sono stati posti in sequestro ed affidati al controllo di un amministratore giudiziario, per scongiurare che il titolare potesse riorganizzarsi e riassumere il controllo dell’azienda. La lista nera di sfruttamento nel settore agrozootecnico si allarga dunque a dismisura.

Una piaga che investe tutta la Calabria. Dal nord della Sibaritide, tradizionale epicentro del caporalato e del neoschiavismo regionale, fino alla Piana di Gioia Tauro. Qui solo tra il 2023 e il 2024 sono state ben 37 le aziende sospese e 305 le sanzioni amministrative, irrogate nel contrasto al fenomeno del caporalato, all’intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro soprattutto di migranti.

Reclutati nelle strade, sfruttati nei lavori agricoli, pagati quotidianamente con pochi spiccioli e usati in campagna come se fossero bestie da soma. Ma è sopratutto l’arco jonico, l’area che comprende le provincie di Matera, Taranto e Cosenza, a patire la piaga del caporalato e dello sfruttamento. Una vasta zona del Mezzogiorno dove il clima e la terra fertile favoriscono le coltivazioni di ortofrutta: dalle fragole all’uva da tavola fino agli agrumi, specie arance e clementine.

Nel 2021 la maxioperazione “Demetra” portò al sequestro di ben 16 aziende, delle quali 12 in Basilicata e 4 a Cosenza. Braccianti sfruttati e venduti a giornata: 60 misure cautelari disposte. Pareva essere il punto di svolta e di inversione di tendenza. La storia di Castrovillari dimostra che c’è ancora tanto ma tanto da fare.


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